1979 - La percezione della società attraverso la pubblicità

Che la pubblicità sia sempre stata lo specchio della società è cosa risaputa. Attraverso la sua storia ed evoluzione ci mostra come siamo e, scavando indietro nel tempo, come eravamo.

Durante le ricerche per questa rubrica, dedicata alla comunicazione pubblicitaria dal 60 agli anni 80, ho trovato un paio di articoli di quest’ultimo periodo molto interessanti. Due documenti che propongono uno spaccato di come la società veniva percepita attraverso la lente d’ingrandimento della pubblicità, quando i canali dedicati alla sua diffusione erano la radio, la tv, la stampa e le affissioni.

Un documento di visione e analisi della percezione comunicativa di un tempo non così lontano ma totalmente diverso da oggi; un analisi a tratti disincantata, ironica, ma mai di parte, che ci fa capire come siamo cambiati noi italiani.

Epoca (1979)

Articolo (ridotto e riadattato) a cura di Carla Stampa.
Eravamo così… 

Nella pubblicità, le donne italiane, giovani e meno giovani, sono tutte ammalate di bianco mania.
Una macchia sul colletto della camicia del marito o sul grembiule del bimbo le mette in crisi.
Bianco deve essere il bucato e, se è possibile, più bianco del bianco.
Si intuiscono lotte furibonde per il possesso del detersivo preferito.
Si scatenano bassi istinti, ad esempio l’invidia: due amiche si incontrano per strada, una si accorge che l’abito dell’altra ha i colori più splendenti e avvampa di gelosia, chiedendo perentoriamente: Tu come fai?
Bianchi devono essere anche i denti, bianchi e tirati a specchio i pavimenti, trasparenti i vetri, senza un granello di polvere i mobili, il forno anche deve avere la coscienza a posto.
Pulizia, ordine e lucentezza costituiscono il vangelo della donna italiana.
In mezzo a tutto questo c’è anche la cura dei figli, e dall’espressione penosa e pensosa delle mamme pubblicitarie si capisce che deve essere una grossa preoccupazione.
Niente paura, c’è rimedio a tutto: una merendina e le povere creature avranno calorie per sopravvivere.
Intorno a questa famiglia sigillata in appartamento con moquette e cornici dorate, che trova la felicità nel frigorifero stracolmo e nell’elettrodomestico infallibile, ruotano nonni dal sorriso melenso, giovanotti fracassoni e vicini di casa simpatici e sorridenti.
Così tutte le sere, per 365 giorni all’anno gli italiani si vedono nella pubblicità… ma si riconoscono?

E noi, ci riconosciamo ancora in questo?

Rileggo la frase Pulizia, ordine e lucentezza costituiscono il vangelo della donna italiana e rifletto.

Rifletto che mobili in tv nessuno ne pulisce più, le pulizie delle piastrelle sono affidate a un single maschio che spiega alle sue amiche – coinquiline o protagoniste del festino svolto in casa la sera prima, e causa dello sporco e del disordine che vediamo – come ottenere la brillantezza e il giusto utilizzo del prodotto.
La macchia della camicia questi uomini se la tengono, perché nessuno vuole più avere un marito e a pulirle con c’è più la moglie devota anni 80. Anzi chi ne aveva ancora uno l’ha scaricato con gioia e senza problemi, a differenza di quelli che invece hanno a causa del “fastidioso malessere del ciclo”… ma fortunatamente a questo punto subentra l’amica cougar, felice per aver trovata una comare per l’acchiappanza serale e che per ringraziarla di tutto questo, le consiglia le pillole medicamentose per lenire il problema mestruale, così possono essere pronte fresche e pimpanti per la caccia al toyboy che le aspetterà da li a poc’anzi.
La figura paterna è praticamente scomparsa, i frigoriferi sono si colmi, ma di portentosi prodotti contenenti ceppi probiotici actiregularis per mantenersi in forma andando di corpo.
Merendine non ce ne sono più (le industrie fornaie sono in crisi). Di loro ne parla solo un ex piacione, ora mugnaio impazzito, che parla con una gallina.

Ci riconosciamo in questa nuova versione?
 


 

La Stampa (1980)

Estratto a cura di S. Franchini

– Dottore dottore, guarisca il mio bambino, non lo riconosco più: parla insensato, ripete frasi strane. Gliene ripeto qualcuna:
“All’uomo in ammollo non viene il torcicollo”
“L’etichetta nera crea l’ atmosfera”
“Mangio un po’ di fiducia”
“Fuori è buio, chiaro no?”
“Mi spunta un fiore in bocca”
“Un bianco che abbaglia”
Mi dica dottore, è grave?
– Signora non si preoccupi, si tratta di banale pubblicitite, una malattia frequente al giorno d’oggi.
– Cosa devo dargli? Sciroppi, pillole?
– Spenga la TV. Sarà sufficiente.

Oggi La pubblicitite non esiste più, sogno anacronistico ancora di qualche copy nostalgico convinto di sfornare claim potenti ma che, eludendo le sue ambizioni, durano dalla sera alla mattina.

Ci sono però altre malattie da debellare: la socialnetworkite, la emoticonite, la selfite… forse più pericolose..

1969 - Olivetti: Oh my darling Valentine

L’anno era il 1969, non c’erano tablet né laptop, ma per i giovani era viva l’esigenza di avere sempre dietro le proprie passioni.

Per la musica c’era il vecchio Penny, il mitico mangiadischi portatile rosso fuoco; per chi aveva l’hobby della scrittura, e voleva cogliere in spiaggia l’ispirazione per una poesia, c’era lei: La Valentine.

Fu progettata da Ettore Sottsass per la Olivetti in pieno “Autunno caldo”, in contrapposizione all’austerità chic della famosa “lettera 22”.

Ideata come una “macchina anti-macchina” per l’uso in qualsiasi luogo, con un hard-case e una maniglia per il facile trasporto, era considerata trasgressiva non soltanto perché rompeva con la tradizione aziendale, ma anche per lo stile di vita nuovo che si respirava in quegli anni.

La macchina da scrivere portatile della Olivetti nella sua semplicità riusciva a essere innovativa.

Nella realizzazione
Era in plastica ABS, invece del consueto alluminio, di colore rosso Valentine, adottato sia per il corpo macchina, sia per la custodia.

Nel design
La tastiera spiccava dal resto della macchina grazie all’accostamento dei colori rosso e nero, “in modo da fare dello strumento di scrittura un ‘oggetto’ atto a farsi notare, ad essere utilizzato anche da un pubblico meno professionalmente motivato alla scrittura meccanica” (“Notizie Olivetti” giugno 1969).

Nella Comunicazione pubblicitaria
La campagna dedicata al lancio della macchina era caratterizzata da toni scherzosi nei testi e nella grafica dei bozzetti, in linea con il design e il colore stesso della Valentine. Grafici noti come Milton Glaser, Yoshitaro Isaka, George Leavitt e Roberto Pieraccini riuscirono a creare un’immagine nuova e accattivante che prevalse persino sull’immagine globale della Olivetti.

Famosa la pubblicità di Glaser che reinterpreta un particolare della “Morte di Procri” del pittore rinascimentale Piero di Cosimo.

Da un bell’articolo di www.StoriaOlivetti.it

“La campagna pubblicitaria per il lancio della Valentine viene ideata tenendo conto che la macchina vuole essere un prodotto di largo consumo, un prodotto che tutti possono usare dovunque. Ecco il perché dei grandi manifesti nelle vie della città, nelle metropolitane, nelle stazioni ferroviarie; degli avvisi sulle riviste popolari; dei brevi film destinati al cinema.
Ed ecco perché Sottsass, a cui è affidato anche il coordinamento di tutte le componenti delle campagne pubblicitarie, dice: “Siamo andati a mettere la Valentine dappertutto, in più posti possibili, per vedere come si comportava e cosa succedeva intorno e abbiamo fatto un sacco di fotografie. Così dopo un po’ siamo venuti in possesso di una grossa documentazione, una specie di reportage del viaggio fatto fra la gente da un oggetto invece che da una persona. E non è neanche andata tanto male, perché tutti erano contenti di giocare con questa Valentine, di starle insieme, e del resto anche lei, questo oggetto rosso, finiva per confondersi abbastanza bene con le cose che già ci sono nel mondo, le cose naturali e le cose artificiali che fanno questa gran confusione nella quale viviamo.” 


Il successo della Valentine è basato sulla sua semplicità. Già nel 1971 entra a far parte delle collezioni del MOMA di New York e negli anni ’90 se ne è ripresa la produzione negli stabilimenti messicani dell’Olivetti, per soddisfare la domanda di quanti vedono nella Valentine un oggetto cult.





1965 – 1989 - Benetton: L'incontro tra un polipetto ed un fotografo famosi.

La storia che raccontiamo oggi è una storia legata a filo (di lana) doppio tra un polipetto e un fotografo, entrambi di fama internazionale.

Il polipetto è l'icona di un maglificio trevigiano creato e disegnato da Franco Giacometti nel 1971, riproduzione di una trama tessile detta in dialetto veneziano “folpetto” ovvero Polipetto, accompagnato da un lettering per l'epoca molto originale. 
Il brand, per chi non l'avesse ancora capito, è quello della Benetton. 
Il fotografo, ovviamente, è Oliviero Toscano. 
La storia dell'azienda nasce nel 1961 con una felice intuizione: anziché usare colori di lane diverse per i propri maglioni si lavorava la lana grezza e la si colorava a seconda dell'esigenza della moda del momento.
E dei colori se ne occupò anche il secondo protagonista di questa storia, appunto, il fotografo e art director Oliviero Toscani, che usava per la pubblicita dell'azienda sempre modelli di etnie diverse.
La collaborazione con la Benetton inizia nel 1982 e grazie all'uso continuo di tematiche molto scottanti come il razzismo, l'alcol, l'Aids e l'omossessualità per i suoi discussi manifesti, ne consacra la fama mondiale.
Nel 1989 ideò lo slogan “tutti i colori del mondo” che diventerà prima l'headline dell'azienda poi vero e proprio marchio (United colors of benetton) disegnato da Bruno Sutter.
( per la cronaca, nel 1996 , da centrale le scritte avranno una giustificazione a sinistra, restyling di Massimo Vignelli).
Nelle immagini forti di Toscano sembra che non ci sia nessuna attinenza tra esse e il prodotto Benetton pubblicizzato ma in realtà non è così: esiste sempre una corrispondenza cromatica e simbolica con il clame, cioè che il colore abbatte ogni barriera.



1975 - Fila: Un tratto di successo

L’anno era il 1975, l’anno in cui la maggiore età in Italia passa da 21 a 18 anni, Amarcord di Fellini vince l’Oscar, Montale vince il Nobel, e nasce la Tratto Pen.

La FILA – Fabbrica italiana Lapis e Affini, affida allo studio Design Group Italia fondato da Marco Del Corno, la progettazione di un nuovo modello di penna a pennarello usa e getta, sulla base di una penna con punta intercambiabile, un progetto giapponese che ha avuto un immenso successo e ritenuto assolutamente innovativo.

Prende vita la Tratto Pen, la penna-pennarello per antonomasia, compagna di viaggio e strumento quotidiano di scrittura: design, innovazione, tecnologia e funzionalità si incontrano in questa penna, simbolo della creatività italiana.
L’obiettivo era quello di creare una penna per la scrittura, esteticamente bella e che riuscisse a incontrare le esigenze del pubblico non solo come oggetto dedicato all’azione dello scrivere, ma come un vero e proprio life style.
Obiettivo fu raggiunto fin da subito.

Grazie al design semplice, lineare ed essenziale Tratto Pen è da sempre una penna molto amata e di grande successo. Fu presentata a Milano al Chibi Cart, la più importante fiera di cartoleria e oggettistica, e in un solo giorno vennero venduti 2 milioni di esemplari. E nel 1979 vinse invece il premio Compasso d’Oro, il più autorevole riconoscimento di design a livello mondiale.

Indistruttibile, interamente di plastica e alla portata di tutte le tasche, nel corso degli anni si è vestita con diversi colori, ma la sua linea classica, snella e sottile è rimasta immutata nel tempo, risultando sempre attuale e affascinando milioni di appassionati della scrittura.
Negli ultimi 30 anni è diventata inseparabile compagna di architetti, designer, uomini di cultura e studenti, patrocinando molte iniziative dedicate alla scrittura e al design.

Di seguito vi proponiamo La campagna Fila Tratto Pen, quarta classificata al premio COPY (cat. Stampa) del 1979.
L’ Agenzia è la  TBWA, Art Direction di Fulvio Talamucci, copywriting di Renato Granata e illustrazioni di Férenc Pinter (autore tra l’altro della splendida illustrazione pluriplagiata della copertina di “Smeraldo” di Soldati), Giancarlo Cereda e Fulvio Talamucci.


editing valentina Cinelli. L'articolo e stato pubblicato anche qui: 
http://www.tiragraffi.it/2015/06/advintage-1975-un-tratto-di-successo/)