80's : Giorgio Cavazzano e la comunicazione pubblicitaria

Giorgio Cavazzano (Venezia, 19 ottobre 1947) è un grande fumettista italiano e uno dei disegnatori di fumetti umoristici più apprezzati in Europa. È colui che ha apportato modernità e innovazione allo stile Disney per illustrarne le storie di Topolino e Paperino – diventandone immediatamente un caposaldo, emulato dai giovani disegnatori –, lavora nella creazione di fumetti umoristici, e ha all’attivo numerosi lavori nel campo dell’animazione e della pubblicità.

Il focus di oggi è appunto s quest’ultima parte della sua attività, dato che il Maestro ha creato il character design di diversi personaggi pubblicitari negli anni 70/80, il periodo trattato da ADVintage.

Di lui ne parla in maniera egregia Gianni Brunoro, in un articolo per “L’autore e il fumetto”, Edizioni del Grifo (1994) che ringraziamo e di cui vi proponiamo un estratto.

 

Nel 1989, la Eldorado aveva avviato per i propri gelati, sulle pagine dei rotocalchi, una campagna pubblicitaria affidata alla “mano” umoristica di Silver, l’autore di Lupo Alberto. Dovendo poi, per continuarla l’anno successivo, cambiare il disegnatore, ne furono contattati alcuni e le loro proposte, testate direttamente sui punti vendita, furono sottoposte su mamme e bambini, cioè sugli acquirenti diretti: fu scelto proprio Cavazzano. Quindi è stata “scientificamente dimostrata la gradevolezza del suo modo dì disegnare per la pubblicità. Beninteso, non era necessario attendere l’ Eldorado per una affermazione del genere, visto che è dai remoti anni Sessanta che i lettori lo dimostrano in continuazione. Ma certo la pubblicità, con le sue concretezze operative, lo ha sancito in maniera incontrovertibile benché, quella non fosse “la prima volta” pubblicitaria. Era anzi, allora, l’ultima fra quelle a cui gli era stato chiesto di partecipare, e quella rivelatasi in seguito, per lui, la più prolungata e consistente. La prima campagna pubblicitaria di rilievo alla quale egli ha collaborato risale al 1979 ed era una specie di campagna istituzionale, per lo meno nel senso che venne pubblicata su uno cli quei periodici che si chiamano “house organ”, vale a dire quelle pubblicazioni che le imprese di qualunque tipo usano per reclamizzare, in certo senso, se stesse, o meglio per offrire di sé una determinata immagine sia al pubblico sia, spesso, ai loro medesimi collaboratori dì ogni livello gerarchico. In quella occasione, fu dunque la Fiat a contattare Giorgio Cavazzano per fargli realizzare delle strisce a fumetti da inserire in un proprio trimestrale. I testi, scritti da Rudy Salvagnini, erano incentrati su una specie di curioso terzetto: Oreste, un simpaticone grande e grosso, e sempre affamato; Carmelo, un procacciatore d’affari più smaliziato; e … un camion. Il motivo di fondo ricorrente, cioè la sostanza umoristica delle strisce, consisteva nei reiterati e sempre frustrati tentativi del trio di trovare un’attività che permettesse loro di guadagnare per cambiare il vecchio camion con uno nuovo IVECO.

La seconda importante occasione pubblicitaria si presento nel 1980 quando curò per la Gibbs

Dental Division Tiadent una campagna pubblicitaria sulla prevenzione della carie. La realizzazione consistette in un opuscoletto a fumetti a fumetti che si svolgeva nell’ambito di una famiglia intitolato “Rossi’s Story” e scritto da Ferruccio Alessandri. Lo stesso materiale fu poi variamente utilizzato in modi diversi, per altre campagne ed altre utilizzazioni pubblicitarie. Benché il fascicolo fosse distribuito gratis attraverso le farmacie, e pertanto non in vendita, lo si potrebbe considerare un vero e proprio best-seller, perchè già inizialmente ne furono stampate centinaia di migliaia di copie, poi però esaurite ma ristampate più volte; e comunque seguite negli anni successivi da un’altra storia, il fascicolo “Rossi’s Story n. 211. In seguito, una campagna analoga, riguardante io specifico uso dello spazzolino da denti, fu impostata su manifesti, riportati anche su tabelloni, poi esposti addirittura negli studi dentistici. Risale invece al 1984 una campagna dovuta eminentemente alla” mano” di Cavazzano, e che per l’Italia costituì il primo utilizzo pubblicitario in grande stile di un personaggio disneyano, mentre precedenti campagne li avevano sfruttati per non più di pochi mesi. L’aspetto, se vogliamo singolare, di tutta la faccenda è costituito dalla circostanza per cui un pubblicitario si portava dietro il ricordo di lui fin dalla propria infanzia, da quando cioè era stato un suo lettore, ed ora che era un creativo della grossa agenzia pubblicitaria Ted Bates poteva finalmente realizzare il desiderio di lavorare con lui e chiedeva la sua espressa collaborazione, per affidare al suo stile accattivante la realizzazione di una serie di pannelli per una campagna. Oltre tutto, si trattava di un cliente importante, ossia la “Dival”, e di realizzare una campagna inconsueta: da realizzare, ovvero un prodotto finanziario. La campagna fa una serie di immagini singole di Paperone, personaggio disneyano, che con rimanda a faccende di soldi. La campagna diffusa sui maggiori quotidiani e settimanali italiani durante l’anno 1985, e fu poi ripetuta nel 1986, 1987 e 1988, per un complesso di sei-sette pannelli l’anno, diffusi sia sui maggiori quotidiani sia sui principali settimanali politico-informativi. Ma la campagna forse più congeniale alle caratteristiche – e forse anche alle aspirazioni – di Cavazzano è appunto quella citata all’inizio, per la Eldorado. Una volta chiarite le esigenze specifiche del cliente e le esigenze particolari del prodotto, fu avviata la campagna pubblicitaria 1989, diffusa soprattutto attraverso la stampa. La campagna era curata da Sandro Pellò, che l’ha seguita fin dall’inizio e poi l’ha fatta portare avanti da Cavazzano anche negli anni successivi. All’inizio, si trattava di storielle a fumetti in due tavole, aventi come protagonista il leone Eldoleo, in una buffa giungla umoristica: nelle vicenduole viene insinuato, in maniera molto discreta, un messaggio pubblicitario sui gelati Eldorado. Apparsa durante il periodo estivo poi del 1990, 1991 e 1992 sul settimanale Il Giornalino, la campagna è passata nel 1993 sulle pagine del Corrierino, con un messaggio fattosi via via più impattante e diretto. Affidata all’agenzia pubblicitaria Solaris, questa l’ha resa notevolmente più ricca e intensa: a Cavazzano è stata commissionata la stesura completa, testi e disegni, di 20 episodi di 4 tavole, usciti ugualmente sul giornale nel corso dell’estate. Il fatto che un’agenzia pubblicitaria offra a un autore di esprimersi secondo i mezzi che gli sono propri – su un organo di stampa specifico come il giornale per bambini, che è quello su cui più coerentemente può figurare una storia a fumetti – è la più grossa soddisfazione cui possa aspirare un comunicatore.


Grazie a Valentina Cinelli-Articolo pubblicato inizialmente da "Tiragraffi".



70's e 80 's - l Super Venditore

( articolo riveduto corretto con aggiunte di Valentina Cinelli)

È un aereo? È un uccello? No, è il SuperTestimonial.

Tralasciando il concetto di superuomo nicchiano o dannunziano, oggi ci soffermiamo sul superuomo più adorato e corteggiato di tutta la storia della pubblicità: Superman.

Nato nel 1933 dalla matita di Jerry Siegel e Joe Shuster, ma pubblicato dalla DC Comics soltanto nel 1938, Superman è in prima posizione nella classifica dei cento maggiori eroi della storia dei fumetti (prima di Batman, fatevene una ragione).
Talmente adulato dal marketing e dalle agenzie di comunicazione che, quando non era possibile permettersi l’originale, furono creati dei cloni ad hoc come testimonial. E questo accade sin dalla sua nascita negli anni 40 e continua ai giorni d’oggi.

Perché è cosi richiesto?

Super/lativo

L’obiettivo di ogni azienda è quello di promuovere l’immagine del proprio prodotto in modo superlativo.
Non potendo sfruttare il superlativo relativo in comunicazione (la pubblicità comparativa in cui un prodotto viene messo in confronto con i concorrenti – “X lava meglio di Y” – è ancora soggetta a regole troppo restrittive), la via più ovvia è di sfruttare il superlativo assoluto.
Quindi il prodotto diventa “super” in ogni senso, superpotente, supersbiancante, superbuono, superassorbente… e chi più ne ha più ne metta.

Super/uomo

Poiché il super uomo mette i propri super poteri a disposizione della collettività (con le varianti come il “Gigante amico” o il “Genio del pulito” ecc.) catalizza i sogni e i bisogni delle diverse età evolutive dell’uomo (e di conseguenza dei diversi segmenti di target):

Protezione e sicurezza per i bambini;

Autostima e voglia di riscatto per gli adolescenti (la trasformazione dal mite Clark Kent a Superman);

Esibizione narcisista e superiorità sessuale per giovani uomini;

Recupero della fantasia e ritorno alla giovinezza per quelli un po’ attempati, imborghesiti o resi cinici;

Principe azzurro per le ragazze;

L’uomo vero per le donne;

Sogno proibito di eterna giovinezza per chi è molto in là con gli anni.

Superpoteri

I superpoteri non sono solo prerogativa umana, ma possono essere trasmessi sotto altre forme a diversi soggetti: super animali per le aziende di mangimi e super prodotti antropomorfizzati per cibi, bevande e prodotti di pulizia.

Richiestissimo in tutte le epoche, nella galleria che segue mostriamo lo sviluppo tematico e iconografico che ha subito e che lo ha reso spesso protagonista della comunicazione, a partire dalle decadi 60-80 fino ai nostri giorni oggi.










Grazie a Valentina Cinelli-Articolo pubblicato inizialmente da "Tiragraffi".

1979 - La percezione della società attraverso la pubblicità

Che la pubblicità sia sempre stata lo specchio della società è cosa risaputa. Attraverso la sua storia ed evoluzione ci mostra come siamo e, scavando indietro nel tempo, come eravamo.

Durante le ricerche per questa rubrica, dedicata alla comunicazione pubblicitaria dal 60 agli anni 80, ho trovato un paio di articoli di quest’ultimo periodo molto interessanti. Due documenti che propongono uno spaccato di come la società veniva percepita attraverso la lente d’ingrandimento della pubblicità, quando i canali dedicati alla sua diffusione erano la radio, la tv, la stampa e le affissioni.

Un documento di visione e analisi della percezione comunicativa di un tempo non così lontano ma totalmente diverso da oggi; un analisi a tratti disincantata, ironica, ma mai di parte, che ci fa capire come siamo cambiati noi italiani.

Epoca (1979)

Articolo (ridotto e riadattato) a cura di Carla Stampa.
Eravamo così… 

Nella pubblicità, le donne italiane, giovani e meno giovani, sono tutte ammalate di bianco mania.
Una macchia sul colletto della camicia del marito o sul grembiule del bimbo le mette in crisi.
Bianco deve essere il bucato e, se è possibile, più bianco del bianco.
Si intuiscono lotte furibonde per il possesso del detersivo preferito.
Si scatenano bassi istinti, ad esempio l’invidia: due amiche si incontrano per strada, una si accorge che l’abito dell’altra ha i colori più splendenti e avvampa di gelosia, chiedendo perentoriamente: Tu come fai?
Bianchi devono essere anche i denti, bianchi e tirati a specchio i pavimenti, trasparenti i vetri, senza un granello di polvere i mobili, il forno anche deve avere la coscienza a posto.
Pulizia, ordine e lucentezza costituiscono il vangelo della donna italiana.
In mezzo a tutto questo c’è anche la cura dei figli, e dall’espressione penosa e pensosa delle mamme pubblicitarie si capisce che deve essere una grossa preoccupazione.
Niente paura, c’è rimedio a tutto: una merendina e le povere creature avranno calorie per sopravvivere.
Intorno a questa famiglia sigillata in appartamento con moquette e cornici dorate, che trova la felicità nel frigorifero stracolmo e nell’elettrodomestico infallibile, ruotano nonni dal sorriso melenso, giovanotti fracassoni e vicini di casa simpatici e sorridenti.
Così tutte le sere, per 365 giorni all’anno gli italiani si vedono nella pubblicità… ma si riconoscono?

E noi, ci riconosciamo ancora in questo?

Rileggo la frase Pulizia, ordine e lucentezza costituiscono il vangelo della donna italiana e rifletto.

Rifletto che mobili in tv nessuno ne pulisce più, le pulizie delle piastrelle sono affidate a un single maschio che spiega alle sue amiche – coinquiline o protagoniste del festino svolto in casa la sera prima, e causa dello sporco e del disordine che vediamo – come ottenere la brillantezza e il giusto utilizzo del prodotto.
La macchia della camicia questi uomini se la tengono, perché nessuno vuole più avere un marito e a pulirle con c’è più la moglie devota anni 80. Anzi chi ne aveva ancora uno l’ha scaricato con gioia e senza problemi, a differenza di quelli che invece hanno a causa del “fastidioso malessere del ciclo”… ma fortunatamente a questo punto subentra l’amica cougar, felice per aver trovata una comare per l’acchiappanza serale e che per ringraziarla di tutto questo, le consiglia le pillole medicamentose per lenire il problema mestruale, così possono essere pronte fresche e pimpanti per la caccia al toyboy che le aspetterà da li a poc’anzi.
La figura paterna è praticamente scomparsa, i frigoriferi sono si colmi, ma di portentosi prodotti contenenti ceppi probiotici actiregularis per mantenersi in forma andando di corpo.
Merendine non ce ne sono più (le industrie fornaie sono in crisi). Di loro ne parla solo un ex piacione, ora mugnaio impazzito, che parla con una gallina.

Ci riconosciamo in questa nuova versione?
 


 

La Stampa (1980)

Estratto a cura di S. Franchini

– Dottore dottore, guarisca il mio bambino, non lo riconosco più: parla insensato, ripete frasi strane. Gliene ripeto qualcuna:
“All’uomo in ammollo non viene il torcicollo”
“L’etichetta nera crea l’ atmosfera”
“Mangio un po’ di fiducia”
“Fuori è buio, chiaro no?”
“Mi spunta un fiore in bocca”
“Un bianco che abbaglia”
Mi dica dottore, è grave?
– Signora non si preoccupi, si tratta di banale pubblicitite, una malattia frequente al giorno d’oggi.
– Cosa devo dargli? Sciroppi, pillole?
– Spenga la TV. Sarà sufficiente.

Oggi La pubblicitite non esiste più, sogno anacronistico ancora di qualche copy nostalgico convinto di sfornare claim potenti ma che, eludendo le sue ambizioni, durano dalla sera alla mattina.

Ci sono però altre malattie da debellare: la socialnetworkite, la emoticonite, la selfite… forse più pericolose..

1969 - Olivetti: Oh my darling Valentine

L’anno era il 1969, non c’erano tablet né laptop, ma per i giovani era viva l’esigenza di avere sempre dietro le proprie passioni.

Per la musica c’era il vecchio Penny, il mitico mangiadischi portatile rosso fuoco; per chi aveva l’hobby della scrittura, e voleva cogliere in spiaggia l’ispirazione per una poesia, c’era lei: La Valentine.

Fu progettata da Ettore Sottsass per la Olivetti in pieno “Autunno caldo”, in contrapposizione all’austerità chic della famosa “lettera 22”.

Ideata come una “macchina anti-macchina” per l’uso in qualsiasi luogo, con un hard-case e una maniglia per il facile trasporto, era considerata trasgressiva non soltanto perché rompeva con la tradizione aziendale, ma anche per lo stile di vita nuovo che si respirava in quegli anni.

La macchina da scrivere portatile della Olivetti nella sua semplicità riusciva a essere innovativa.

Nella realizzazione
Era in plastica ABS, invece del consueto alluminio, di colore rosso Valentine, adottato sia per il corpo macchina, sia per la custodia.

Nel design
La tastiera spiccava dal resto della macchina grazie all’accostamento dei colori rosso e nero, “in modo da fare dello strumento di scrittura un ‘oggetto’ atto a farsi notare, ad essere utilizzato anche da un pubblico meno professionalmente motivato alla scrittura meccanica” (“Notizie Olivetti” giugno 1969).

Nella Comunicazione pubblicitaria
La campagna dedicata al lancio della macchina era caratterizzata da toni scherzosi nei testi e nella grafica dei bozzetti, in linea con il design e il colore stesso della Valentine. Grafici noti come Milton Glaser, Yoshitaro Isaka, George Leavitt e Roberto Pieraccini riuscirono a creare un’immagine nuova e accattivante che prevalse persino sull’immagine globale della Olivetti.

Famosa la pubblicità di Glaser che reinterpreta un particolare della “Morte di Procri” del pittore rinascimentale Piero di Cosimo.

Da un bell’articolo di www.StoriaOlivetti.it

“La campagna pubblicitaria per il lancio della Valentine viene ideata tenendo conto che la macchina vuole essere un prodotto di largo consumo, un prodotto che tutti possono usare dovunque. Ecco il perché dei grandi manifesti nelle vie della città, nelle metropolitane, nelle stazioni ferroviarie; degli avvisi sulle riviste popolari; dei brevi film destinati al cinema.
Ed ecco perché Sottsass, a cui è affidato anche il coordinamento di tutte le componenti delle campagne pubblicitarie, dice: “Siamo andati a mettere la Valentine dappertutto, in più posti possibili, per vedere come si comportava e cosa succedeva intorno e abbiamo fatto un sacco di fotografie. Così dopo un po’ siamo venuti in possesso di una grossa documentazione, una specie di reportage del viaggio fatto fra la gente da un oggetto invece che da una persona. E non è neanche andata tanto male, perché tutti erano contenti di giocare con questa Valentine, di starle insieme, e del resto anche lei, questo oggetto rosso, finiva per confondersi abbastanza bene con le cose che già ci sono nel mondo, le cose naturali e le cose artificiali che fanno questa gran confusione nella quale viviamo.” 


Il successo della Valentine è basato sulla sua semplicità. Già nel 1971 entra a far parte delle collezioni del MOMA di New York e negli anni ’90 se ne è ripresa la produzione negli stabilimenti messicani dell’Olivetti, per soddisfare la domanda di quanti vedono nella Valentine un oggetto cult.





1965 – 1989 - Benetton: L'incontro tra un polipetto ed un fotografo famosi.

La storia che raccontiamo oggi è una storia legata a filo (di lana) doppio tra un polipetto e un fotografo, entrambi di fama internazionale.

Il polipetto è l'icona di un maglificio trevigiano creato e disegnato da Franco Giacometti nel 1971, riproduzione di una trama tessile detta in dialetto veneziano “folpetto” ovvero Polipetto, accompagnato da un lettering per l'epoca molto originale. 
Il brand, per chi non l'avesse ancora capito, è quello della Benetton. 
Il fotografo, ovviamente, è Oliviero Toscano. 
La storia dell'azienda nasce nel 1961 con una felice intuizione: anziché usare colori di lane diverse per i propri maglioni si lavorava la lana grezza e la si colorava a seconda dell'esigenza della moda del momento.
E dei colori se ne occupò anche il secondo protagonista di questa storia, appunto, il fotografo e art director Oliviero Toscani, che usava per la pubblicita dell'azienda sempre modelli di etnie diverse.
La collaborazione con la Benetton inizia nel 1982 e grazie all'uso continuo di tematiche molto scottanti come il razzismo, l'alcol, l'Aids e l'omossessualità per i suoi discussi manifesti, ne consacra la fama mondiale.
Nel 1989 ideò lo slogan “tutti i colori del mondo” che diventerà prima l'headline dell'azienda poi vero e proprio marchio (United colors of benetton) disegnato da Bruno Sutter.
( per la cronaca, nel 1996 , da centrale le scritte avranno una giustificazione a sinistra, restyling di Massimo Vignelli).
Nelle immagini forti di Toscano sembra che non ci sia nessuna attinenza tra esse e il prodotto Benetton pubblicizzato ma in realtà non è così: esiste sempre una corrispondenza cromatica e simbolica con il clame, cioè che il colore abbatte ogni barriera.



1975 - Fila: Un tratto di successo

L’anno era il 1975, l’anno in cui la maggiore età in Italia passa da 21 a 18 anni, Amarcord di Fellini vince l’Oscar, Montale vince il Nobel, e nasce la Tratto Pen.

La FILA – Fabbrica italiana Lapis e Affini, affida allo studio Design Group Italia fondato da Marco Del Corno, la progettazione di un nuovo modello di penna a pennarello usa e getta, sulla base di una penna con punta intercambiabile, un progetto giapponese che ha avuto un immenso successo e ritenuto assolutamente innovativo.

Prende vita la Tratto Pen, la penna-pennarello per antonomasia, compagna di viaggio e strumento quotidiano di scrittura: design, innovazione, tecnologia e funzionalità si incontrano in questa penna, simbolo della creatività italiana.
L’obiettivo era quello di creare una penna per la scrittura, esteticamente bella e che riuscisse a incontrare le esigenze del pubblico non solo come oggetto dedicato all’azione dello scrivere, ma come un vero e proprio life style.
Obiettivo fu raggiunto fin da subito.

Grazie al design semplice, lineare ed essenziale Tratto Pen è da sempre una penna molto amata e di grande successo. Fu presentata a Milano al Chibi Cart, la più importante fiera di cartoleria e oggettistica, e in un solo giorno vennero venduti 2 milioni di esemplari. E nel 1979 vinse invece il premio Compasso d’Oro, il più autorevole riconoscimento di design a livello mondiale.

Indistruttibile, interamente di plastica e alla portata di tutte le tasche, nel corso degli anni si è vestita con diversi colori, ma la sua linea classica, snella e sottile è rimasta immutata nel tempo, risultando sempre attuale e affascinando milioni di appassionati della scrittura.
Negli ultimi 30 anni è diventata inseparabile compagna di architetti, designer, uomini di cultura e studenti, patrocinando molte iniziative dedicate alla scrittura e al design.

Di seguito vi proponiamo La campagna Fila Tratto Pen, quarta classificata al premio COPY (cat. Stampa) del 1979.
L’ Agenzia è la  TBWA, Art Direction di Fulvio Talamucci, copywriting di Renato Granata e illustrazioni di Férenc Pinter (autore tra l’altro della splendida illustrazione pluriplagiata della copertina di “Smeraldo” di Soldati), Giancarlo Cereda e Fulvio Talamucci.


editing valentina Cinelli. L'articolo e stato pubblicato anche qui: 
http://www.tiragraffi.it/2015/06/advintage-1975-un-tratto-di-successo/) 























1967 - Martini: L' Italian Life Style è un cocktail

Uno dei momenti più rappresentativi del life style italiano, l’aperitivo, – prima che vecchie carampane e vegliardi travestiti da ragazzini affollassero i bar sporcandolo con aberranti neologismi tipo “apericena” e ordinando cocktails dai nomi esterofili – aveva un solo nome: Martini.
Un nome che, in giro per il mondo, continua a rimanere per le persone di una certa classe.

Martini infatti, in oltre 40 anni di storia pubblicitaria, ha fatto della comunicazione il suo fil rouge prioritario imponendosi come marchio internazionalmente riconosciuto, e registrando ad oggi 6 milioni di drink consumati in almeno 30 paesi diversi.

Se in Italia ha saputo cogliere abitudini e virtù di questo popolo, nel mondo ha saputo trasmettere l’italianità stessa, intesa come eleganza, socialità, bellezza, successo e stile… diventando a tutti gli effetti, i punti forti del suo brand values.

Forte quindi di una comunicazione sviluppata, sempre in estrema coerenza, a costruire un immagine di alto profilo ma accessibile a tutti, Martini è riuscita a collocarsi in una posizione extracommerciale, diventando un vero e proprio status.

È stata antesignana nel saper promuovere la marca con la presenza fissa di testimonial celebri della cultura, sport e spettacolo, all’apice della loro carriera: già dagli anni ’30a partire dal grande Tazio Nuvolari, passando per gli anni ’70, dove Paolo Villaggio testimonial televisivo, racconta storie che nascono da sogni proibiti, e Ornella Vanoni canta il jingle che arriva fino agli anni ’80.

Non bisogna scordare le sponsorizzazioni sportive e i team appositamente costruiti per gare e trofei (una su tutte quella dei rally) nonché la creazione, nell’ambito del diverimento serale, delle famose Terrazze Martini degli anni ’60: sedi esclusive affacciate sulle più belle città del mondo. La piu famosa rimane quella di Milano al 15° piano del “grattacielo”, progettato dall’architetto Luigi Mattioni, in Piazza Diaz: luogo protagonista di presentazioni di anteprime di film come “La Dolce Vita” di Fellini, “La notte” di Antonioni e “L’ultimo metrò” di Truffaut, nonché cornice esclusiva degli aperitivi della “Milano da bere” degli anni ’80.

Ultimo ma non ultimo, la Martini fu la prima a brandizzare oggetti per hotel e ristoranti, come il famosissimo posacenere diventato ricercato oggetto da collezione.

Nelle pubblicità raccolte in quest’articolo, vediamo l’evoluzione e il messaggio del brand in base agli anni: da quelli di avanguardia grafica dei primissimi ’60 disegnati da Casorati, a quelli di timida emancipazione femminile, protagonisti di quella fine decade, quelli ammiccanti e di libertà tipici degli ’70, fino a quelli lussuosi e “yuppistici” degli ’80.





1962 - Star: L'emancipazione della donna italiana parte dal ragù.

L’anno era il 1962: in Inghilterra esce “Please me Please” dei Beatles, mentre in Italia, da una fabbrica di produzione, viene fuori la prima lattina di sugo pronto GranRagù Star.

Il sessantotto era relativamente vicino e una “brava ragazza” per essere presa in moglie doveva ancora rappresentare la “donna tutta casa” e, per servire al meglio il marito, possedere come requisito principale il saper cucinare.

In un periodo storico dove la cucina era – e doveva essere – fatta in casa, e la moglie essere “la regina dei fornelli”, il lancio di un ragù in scatola (non in vetro, ma in lattina, senza poterne vedere il contenuto) rappresentava una vera e propria rivoluzione. Il ragù poi era il re incontrastato dei condimenti italiani, seppur fatto in modo diverso, da Nord a Sud!

Nella prima geniale reclame stampa, alla domanda rivolta al consorte “cosa desidera il signor marito per pranzo?”, la brava mogliettina nasconde prontamente la lattina alle spalle, condividendo il suo segreto esclusivamente con i lettori della pubblicazione.

Un piccolo gesto di ribellione che parte dal ragù, preannunciando la nuova percezione di sé della donna italiana, che iniziava a svilupparsi in quegli anni.

Nella seconda reclame del 1963,  i creativi dell’epoca oltre che con il segreto dell’uso del ragù giocarono anche segreto culinario del condimento – anzi i tre segreti del GranRagù Star – che rendevano il prodotto così buono: la carne magrissima, la precisa dosatura di 10 ingredienti e il tempo lungo di cottura.

Il massiccio investimento pubblicitario della STAR per il lancio del prodotto riuscì a convincere il pubblico femminile e a superare radicate barriere culturali. Non più la donna casalinga che dice “l’ho fatto io” ma quella che afferma “l’ho scelto io”, dando a quest’ultima la possibilità di “scegliere” in quanto donna, appunto.

La scommessa lanciata da Danilo Fossati, l’ideatore del prodotto e “il signor Star” come lo chiamavano tutti, fu vinta. Il ragù in scatola si diffuse rapidamente nelle case degli italiani anche grazie alla capillare rete di distribuzione, ottenendo degli ottimi risultati di vendita.

Ancora oggi nel mercato dei condimenti pronti, la STAR detiene il 50% del segmento rendendola leader assoluta. 

Curiosità

Oggi la Star produce circa 700 milioni di lattine per il mercato mondiale.
Messe l’una sull’altra si otterrebbe una colonna di gran lunga più alta dell’EVEREST.


1975 - Il Padreterno è un copywriter plagiato. Una rassegna stampa sui Jeans

Ci siamo già occupati, come primo articolo di questo blog, in precedenza del caso Jesus Jeans e dello scalpore scaturito dalla famosa campagna pubblicitaria nel 1973.
Ma torniamo sull'argomento per capire realmente l'interesse e lo scalpore mediatico che si creò intorno al brand.
Grazie ad alcune ricerche svolte, sono riuscito a mettere in piedi una vera e propria emeroteca sull' argomento, raccogliendo firme eccellenti come quelle di Pasolini, Rosati e Tornabuoni.
Un documento storico che si commenta da solo.
Buona Lettura.

I pantaloni di Gesù

Del resto è grottesco che questi appelli smaniosi e costosi ma tanto paga il consumatore, convogliati solitamente attraverso canali televisivi di Stato, sian diretti ad accrescere profitti privati mentre completamente trascurata è l'enorme possibilità che la pubblicità offrirebbe per indurre a scelte di utilità pubblica. La speculazione ha una sua logica implacabile e blasfema: incomincia coi pannolini "per il suo sederino d'oro" e non si fermerà neanche ai calzoni di Gesù.[/quote]
Da "Paese Sera" del 9 maggio 1973

Non avrai altri blue-jeans all'infuori di quelli "Jesus"

Che qualcuno tenti di sfruttare commercialmente la combinazione sesso-religione non è certo un fatto nuovo. L'anno scorso negli Stati Uniti andavano di moda le magliette con il volto di Gesù Cristo, mentre il musical "Jesus Christus superstar", dopo aver furoreggiato all'estero, sta per approdare anche sui nostri palcoscenici. E il "Christus-look" nato sulla scia dei tentativi seri, quelli degli Hippies, di riscoprire nella religione, occidentali e orientali, certi valori che la nostra attuale civiltà sta distruggendo.[/quote]
Renzo Rosati da "11 Secolo XIX" del 10 maggio 1973.

Brevi incontri

Vogliamo condannare la società dei consumi che tutto dissacra, nulla rispetta e d'ogni valore fa commercio? Benissimo. Anche se, nel caso dei Jesus-jeans la pubblicità industriale ha in fondo soltanto imitato l'esempio dei buoni frati distillatori e commercianti di alcolici corroboranti: "Elisir di San Bernardo", "Vino di Santa Maddalena", "Amaro benedettino". E da quanto tempo beviamo "Lacrima Christi" senza scandalizzarci di una denominazione che si rifà al pianto di Gesù prima della passione?
Lietta Tornabuoni da "La Stampa" del 10 maggio 1973.

Salmeri ha colpito ancora

Stavolta, Salmeri, oltre al sesso si appella alla profanazione. In poche parole, potrebbe chiamare in causa la generale deplorazione per il fatto che la pubblicità sfrutti il nome di Gesù e la religione...[/quote]
Da "Il giornale di Sicilia" dell'11 maggio 1973.

Dal Pretore di Palermo.

Sequestrato il manifesto dei blue jeans "blasfemi". Il magistrato ha firmato una ordinanza nella quale sostiene che il manifesto pubblicitario è "chiaramente contrario al buon costume specialmente in riferimento alla legge 12 dicembre 1960 numero 1591 e costituisce vilipendio anche alla religione". Inoltre Palermo stamane si è svegliata con tutti i manifesti pubblicitari dal formaggini alle calze da donna tagliati a metà di sbieco traversalmente. Sono state, infatti coperte con strisce di carta bianca tutte le"rotondità" che potevano "offendere il pudore".[/quote]
Da "Il Corriere della Sera" del 12 maggio 1973.

Il "folle" slogan dei jeans Jesus

Coloro che hanno prodotto questi jeans e li hanno lanciati nel mercato, usando, per lo slogan di prammatica uno dei dieci Comandamenti, dimostrano – probabilmente con una certa mancanza di senso di colpa, cioè con l'incoscienza di chi non si pone più certi problemi – di essere già oltre la soglia entro cui si dispone la nostra forma di vita e il nostro orizzonte mentale. C'è, nel cinismo di questo slogan, un'intensità e un'innocenza di tipo assolutamente nuovo, benché probabilmente maturato a lungo in questi ultimi decenni per un periodo più breve in Italia. Esso dice appunto, nella sua laconicità di fenomeno apparso di colpo alla nostra coscienza, e già così completo e definitivo, che i nuovi industriali e i nuovi tecnici sono completamente laici, ma di una laicità che non si misura più con la religione. Tale laicità è un "nuovo valore" nato nell'entropia borghese, in cui la religione sta deperendo come autorità e forma di potere, e sopravvive in quanto ancora prodotto naturale di enorme consumo e forma folcloristica ancora sfruttabile. Ma l'interesse di questo slogan non è solo negativo, non rappresenta solo il modo nuovo in cui la Chiesa viene ridimensionata brutalmente a ciò che essa realmente ormai rappresenta: c'è in esso un interesse anche positivo, cioè la possibilità imprevista di ideologizzare, e quindi rendere espressivo il linguaggio dello slogan e quindi, presumibilmente quello dell'intero mondo tecnologico...
Pier Paolo Pasolini da "Il Corriere della Sera" del 17 maggio 1973.

D'amore si vende

Si chiama Kirsten Gille, è una splendida fotomodella danese di 22 anni: benché abbia un viso molto attraente occhi verdi, labbra carnose, in Italia è diventata famosa grazie alla sua pancia. Nelle ultime settimane, infatti, i fianchi e l'ombelico di Kirsten sono stati analizzati, studiati e criticati da uno stuolo di sociologi, sacerdoti e giuristi. Sempre al suo ventre hanno dedicato un corsivo quasi tutti i giornali italiani L'Osservatore Romano l'ha definito «un prodotto di consumo al limite dell'empietà»... "Premesso che tra un pube e una quattroruote c'è un po' di differenza, nel caso Jesus io parlerei di cattivo gusto, piuttosto che di empietà", commenta Nazareno Fabbretti, 54 anni, frate francescano e giornalista, uno dei pochi ecclesiastici non allineati con gli anatemi dell'Osservatore Romano. "Gesù ha detto infatti: tutto quello che chiederete in nome mio, l'otterrete. Ma non credo si volesseriferire ai pantaloni di tela blu...".[/quote]
Luca Grandori da "Panorama" del 24 maggio 1973.

Un manifesto per "trenta denari"

[quote]Qui il dissacrante diventa blasfemo e il tentativo pubblicitario di "épater le bourgeois" si trasforma in una immagine così capziosa da diventare urtante. Un torace e un ventre maschili qualcuno giura che sono femminili sapidamente pelosi per la delizia delle fanciulle, con un paio di blue-jeans aperti giusto quel tanto per far vedere - e non far vedere - una intuibile "attrezzatura" sono il sottofondo visivo della frase "Non avrai altro jeans all'infuori di me", palese e significativa parafrasi dell'imperativo biblico "Non avrai altro Dio fuori che me". Ora, a parte che questa headline non brilla per originalità creativa autonoma il copywriter plagiato è il Padreterno, c'è anche da dire che il ricorso a una frase biblica per una campagna pubblicitaria non è neppur esso un fatto sorprendente. Basterà ricordare che nel 1966 uscì per la Innocenti una campagna il cui motivo conduttore era "Non desiderare la Mini d'altri", morbida parafrasi di un'altra celebre frase biblica, che però era, nella sua impostazione generale, messa giù con un tal garbo e una tal freschezza da riuscire alla fine accettabile...[/quote]
Donato Mutaieili da "Strategia" n. 6/7-1973.
Di tutta risposta, dopo questi articoli, la Jesus rispose con questo manifesto che gli italiani si trovarono affissi nelle proprie città a fine maggio del 1973.



Ringrazio l'adci di Milano per il prezioso contributo.

1975: I Cugini della Nutella

Chi non conosce la Nutella? Approfondiremo sicuramente l' argomento della crema spalmabile creata nel 1964 dalla Ferrero di Alba inerente agli anni 60/80 prossimamente perchè l'adv di quel periodo, merita davvero.
Quello di cui ci andremo a dedicare in quest'articolo invece sono i cugini, celebri e meno celebri, emuli della famosa crema al cacao diventata un vero e proprio fenomeno di costume.
Nati vanamente nel tentativo di limitare lo strapotere che deteneva la Nutella negli anni '70 ricorderemo i più famosi come Ciao Crem ed Ergo Spalma, e cugini un po' meno famosi (ma comunque nati da grandi aziende del food dolciario) come Ciocovella, Nutrì e Genuita.
Ovviamnete, come prassii comune in quegli anni, tutti i prodotti vendevano la propria ipercaloricità
per energia per crescere.
la Plasmon, specializzata nei prodotti per l’infanzia, a metà degli anni ’70 lancia la sua linea per ragazzi: Ergo Biscotto, Ergo Spalma, Ergo Sprint e Ergo Cappuccio. Ergo Spalma era appunto la sua crema spalmabile al cioccolato.

Chi non conosce la Nutella, la famosa crema alla gianduia al sapore di cacao e nocciole?
State buoni e fermate l’acquolina: della crema spalmabile creata nel 1964 dalla Ferrero di Alba parleremo prossimamente, dato che l’adv che l’ha promossa nel periodo dagli anni ’60 agli anni ’80 merita davvero.

Oggi parleremo dei suoi cugini, celebri e meno celebri, emuli della famosa crema al cacao, diventata un vero e proprio fenomeno di costume.
Nati vanamente nel tentativo di limitare lo strapotere che deteneva la Nutella negli anni ’70, in questo articolo faremo un excursus fra i più famosi come Ciao Crem ed Ergo Spalma, e cugini un po’ meno famosi (ma comunque nati da grandi aziende del food dolciario) come Ciocovella, Nutrì e Genuita.

Ovviamente, come prassi comune in quegli anni, tutti i prodotti vendevano la propria ipercaloricità per energia per crescere.


Ergo Spalma

La Plasmon, specializzata nei prodotti per l’infanzia, a metà degli anni ’70 lancia la sua linea per ragazzi Ergo, che comprendeva: Ergo Biscotto, Ergo Spalma, Ergo Sprint e Ergo Cappuccio. Ergo Spalma era appunto la sua crema spalmabile al cioccolato.
La sua campagna stampa era molto famosa sia perché aveva come testimonial Asterix e Obelix (disegnati per l’occasione dall’italianissimo Daniele Fagarazzi), sia perché era una presenza costante sulle rivista Topolino.

Nel 1978 regalava, proprio tramite testimonial Asterix, una “moneta antica” in ogni confezione. Si trattava in realtà di “fedeli riproduzioni di monete romane” in metallo ferroso ed erano fatte talmente bene che ancora oggi qualche malintenzionato o dotato di troppa buona fede, ne tenta la mercificazione spacciandole per originali.
Il monetiere raccoglitore veniva regalato dal salumiere di fiducia (tempi lontani dai corner dei centri commerciali).

Nel 1979 era ricercatissima dai bambini perché riuscì ad accaparrarsi dalla Toei Animation i diritti per riprodurre gli adesivi di Goldrake, vero è proprio fenomeno televisivo in quegli anni.

Claim: Spalma che ti piace.


Ciao Crem

La Star, che negli anni ’70 era la maggiore industria alimentare italiana, rispose al dilagante successo della Nutella con una propria crema da spalmare: Ciao Crem.

“Lupi di mare al merendaggio…”, fu uno dei grandi claim/tormentone del periodo per pubblicizzarla

Con i claim sono sempre stati fortissimi. Negli anni ’80 con il lancio novità della crema bicolore e bigusto Ciao Crem 2, (lo scuro cacao e la chiara nocciola) lanciarono lo slogan “2 gusti è meglio che 1”.
Vi ricorda qualcosa? Certo: è lo stesso claim dei gelati Maxicono Motta pronunciato con cadenza bolognese da un giovane Stefano Accorsi del 1994 nel famoso spot tv.

Nel 1984 sempre in merito alle campagne televisive, quella per Ciao Crem 2 ideata dalla Leo Burnett ebbe un successo incredibile grazie al tormentone “Eh no, due gusti, due baci!” pronunciati da un bambino che cercava di ripetere il successo con le donne di Fonzie, facendo il provolone con una coetanea e comprandole i baci con la gustosa crema.
La Ciao Crem fu la vera e unica grande concorrente della Nutella senza però mai bissarne il successo tant’è che, sul finire degli anni ’80, scomparve dallo scaffale dei dolciumi.

Claim: Meglio due gusti che uno solo.


Cremita

La Barzetti di Castiglione fece scendere in campo, nella sfida delle creme alla nocciola Cremita.
Anche questa crema faceva parte del “Paniere di Papà Barzetti”, la sua linea dolciaria con l’inconfondibile color tovaglia da picnic a quadri gialla.
Per far leva sui piccoli nel 1979, se Ciao Crem regalava le figuirne del robottone Goldrake, lei rispose con con le figurine della serie Barxok V ( ma chi è?) affissi ai coperchietti delle monoporzioni da 30 grammi.

La raccolta punti invece ti faceva ricevere quelle “giacche a vento” di carta cerata tanto care come omaggio fatto dai benzinai.
Il marchio e gli stabilmenti poi, una volta falliti, furono acquistati dalla Barilla.

Claim: Cremita ti lecchi le dita.


Nutrì

Nutrì invece era la crema al cacao e nocciole di Pernigotti che rispose nel 1979 all’invasione delle figurine dei robot regalate dalle creme concorrenti, con quelle dedicate all’astronomia.
Si riceveva anche il libro fatto consegnare dal solito salumiere.

Nonostante fosse più eccelsa qualitativamente in confronto alle altre spalmabili, ebbe vita breve.

Claim: Nutrì il re delle merende.


Ciocovella


Durata pochissimo sul mercato, Ciocovella era prodotta dalla belga Wander, la stessa azienda che aveva lanciato in Italia l’Ovomaltina.

Claim: Ciocovella: la merenda che dà più forza.

Genuita


La crema spalmabile della Motta aveva come nome Genuita.Claim: Genuita la merenda di chi cresce.

 

Ora, nessuna grande casa produttrice alimentare produce creme spalmabili… troviamo solo l’Arrigoni ma si differenza dalla Nutella puntando sulla qualità Bio del prodotto.

Abbiamo poi altre spalmabili dai nomi assurdi, prodotte per la catena dei discount ma è un argomento che, per la sua modernità e per la mancanza di adv specifico, non trattiamo in questa rubrica.